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11
Set
2008

FONDAZIONE GENOA: TUTTI I PRECEDENTI DI GENOA MILAN

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TUTTI I PRECEDENTI DI GENOA MILAN

Negli incontri interni il Genoa ha affrontato nella massima categoria il Milan 57 volte (55 a Genova – 3 alle Gavette, 2 a San Gottardo e 50 a Marassi –, una a Novi Ligure e una a Lucca), vincendo 19 partite, pareggiandone 21 e perdendone 16, segnando 73 reti ed incassandone 75, una volta a livello di Serie B, pareggiando a reti bianche, una volta per la Coppa Federale, vincendo 1-0, una volta per la qualificazione italiana alla Mitropa Cup, pareggiando 1-1, e due volte in Coppa Italia, rispettivamente vincendo 2-1 e pareggiando 2-2.   Volendo fare una galleria degli incontri più memorabili si possono inserire: il n. 1, il n. 2, il n. 4, il n. 5, il n. 6, il n. 7, il n. 8, il n. 11, il n. 12, il n. 15, il n. 16, il n. 17, il n. 20, il n. 24, il n. 25, il n. 26, il n. 27, il n. 32, il n. 37, il n. 39, il n. 40, il n. 46, il n. 47, il n. 48, il n. 49, il n. 51, il n. 52, il n. 53, il n. 54, il n. 56, il n. 58, il n. 60 e il n. 61.

Il settimo incontro di Campionato della storia del Genoa è il più antico contro una formazione tuttora esistente. Quel 5 maggio 1901, la squadra che da quella stagione indossava le maglie «a quarti» rossoblù faceva il suo esordio in Campionato, difendendo in una partita senza appello il titolo di campione d’Italia – che deteneva ininterrottamente dalla prima edizione del 1898 – contro il Milan [n. 1]. Vigeva, infatti, da quella quarta edizione, dopo che con la terza dell’anno precedente il Genoa si era aggiudicato definitivamente la Challenge Cup, la formula del «challenge round», in ragione della quale la squadra campione in carica aspettava in Finale la sfidante. Il presidente del Genoa, George Dormer Fawcus aveva messo in palio un nuovo trofeo, la Coppa Fawcus.

I milanisti colsero di sorpresa gli avversari, nei quali albergava forse anche una certa sicurezza, che derivava loro dall’essere stati fino ad allora sempre vittoriosi nelle partite di Campionato, imponendosi sul terreno posto sulla sponda destra del torrente Bisagno a sud di Ponte Carrega per 3-0 e conseguentemente iscrivendo per la prima volta il nome della società rossonera nell’Albo d’Oro del calcio italiano.

L’anno dopo il Genoa, dopo aver eliminato in successione Andrea Doria, Mediolanum e Foot Ball Club Torinese, giunse in Finale [n. 2] a sfidare il Milan, con il quale voleva prendersi la rivincita. Quell’incontro, disputatosi per l’indisponibilità del terreno casalingo del Milan (la pista che circondava il campo ospitava corse di trotto valide per l’VIII Gran Premio Internazionale del Trotter Italiano), su proposta genoana accettata dal Milan, nuovamente al velodromo delle Gavette (il sodalizio rossoblù garantì per ciascun componente del Milan giunto a Genova un rimborso spese di 15 lire, una cena in un noto ristorante del Centro e una gita notturna sul mare), confermò una delle regole non scritte dello sport, quella che vuole perdente chi sottovaluta l’avversario (i rossoneri erano talmente sicuri della vittoria da aver lasciato, con scarso rispetto della scaramanzia ed ostentata sicurezza nei propri mezzi, un biglietto all’interno della Coppa Fawcus indicante… nel Milan la squadra vincitrice del Campionato 1902).

La vincente tattica genoana si basò sul controllo del gioco manovrato e veloce delle ali Antonio Dubini e Johannes Ferdinand Mädler, delle mezzali Ettore Negretti ed Edward Wade e del centravanti Herbert Kilpin e sulle veloci ripartenze, che culminarono nelle due reti nei minuti finali dei due tempi di Attilio Salvadè ed Enrico Pasteur II.   Il Milan vinse entrambi gli incontri giocati sul campo di San Gottardo. Particolarmente vistoso fu il successo nella seconda partita [n. 5], quella di apertura del Campionato 1910/1911, quando l’esordiente duo d’attacco belga costituito da Louis Van Hege (doppietta nel primo tempo) e Maurice «Max» Tobias (rete nella ripresa) infierì sulla malcapitata retroguardia genoana. Pur essendo una bella giornata di sole quel 27 novembre 1910, non furono molti i tifosi ad assistere alla partita, avendo la maggior parte di loro preferito affollare il campo di aviazione di via Pisa e le colline di San Francesco d’Albaro per assistere al primo volo di un aviatore italiano, Ciro Cirri, sul cielo di Genova, che in quell’occasione raggiunse i trecento metri, volteggiando una volta sopra i colli e due sul mare, prima di avere un piccolo incidente all’atterraggio, non essendo sgombra la pista per i troppi curiosi che vi sostavano.

Dopo essere stati inopinatamente fermati l’8 ottobre 1911 in casa alla prima giornata dai rossocelesti torinesi del Piemonte, che nelle restanti diciassette giornate avrebbero raccolto solamente una vittoria interna per 2-1 sul Casale (il 15 ottobre 1911)  e un pareggio, anch’esso casalingo, per 1-1 contro l’Unione Sportiva Milanese (il 5 novembre 1911), i rossoneri, che avevano pareggiato per 1-1 la settimana dopo sul campo dei campioni d’Italia della Pro Vercelli (con cui avrebbero impattato anche in casa, per 2-2, il 17 dicembre 1911), si erano trovati, in virtù di cinque successive vittorie consecutive e del «regalo» dei «cugini» interisti, vittoriosi in casa il 12 novembre per 2-1 sulle «bianche casacche», al primo posto con 12 punti (uno in più nei confronti del Genoa, che doveva recuperare – lo avrebbe fatto il 31 marzo 1912, vincendo 3-2 – l’incontro di apertura, rinviato l’8 ottobre 1911 per impraticabilità del proprio campo, con l’Unione Sportiva Milanese, e tre rispetto alla Pro Vercelli, che aveva subito al 43’ del 1° tempo per decisione dell’arbitro Giuseppe Gama Malcher I la sospensione del suo primo impegno di campionato – diventato poi l’ultimo il 21 aprile 1912, con una vittoria per 2-0, che sarebbe, di fatto, valsa il quarto titolo nazionale – a Genova contro l’Andrea Doria, sulla quale si trovava in vantaggio per 2-0, lo stesso giorno e per lo stesso motivo del soprammenzionato incontro del Genoa) al termine della VII giornata del Girone Ligure-Lombardo-Piemontese (che, stante, in quell’ultima massima categoria riservata alle sole squadre settentrionali, la scarsa consistenza di quello Emiliano-Veneto, la cui squadra vincitrice avrebbe affrontato in finale di andata e ritorno l’omologa nord-occidentale, poteva ritenersi il vero campionato). Pertanto era attesissimo lo scontro al vertice a Marassi con il Genoa [n. 6].

Quel giorno il campo si presentava allagato dalla pioggia, che flagellò giocatori e pubblico anche durante lo svolgimento dell’incontro. Il Genoa, in formazione rimaneggiata, fece pressioni nei confronti dell’arbitro Gama Malcher I di Milano (socio dell’Internazionale) perché l’incontro non fosse disputato, mentre i rossoneri che sapevano che quella sarebbe stata l’ultima partita di Alessandro Scarioni II e di Pietro Lana (il giocatore passato alla storia per aver realizzato il 15 maggio dell’anno precedente la prima rete, al 13’ del 1° tempo, della Nazionale Italiana, nell’incontro inaugurale da essa disputato e vinto a Milano per 6-2 sulla Francia) prima di andare a combattere contro i Turchi nella Guerra di Libia, volevano giocare a tutti i costi. Gama I, dopo essersi consultato con il concittadino e collega Gerolamo Radice, fino al 1909 portiere e all’epoca socio del Milan, che aveva appena rinviato per impraticabilità di campo l’incontro che l’Andrea Doria avrebbe dovuto giocare nell’attiguo impianto con il Piemonte, decise di dare il via al big match. Il Genoa affrontò l’incontro con grandissimo ardore e al 16’ di gioco l’ex milanista Edoardo «Dino» Mariani, che aveva visto la sua avanzata sulla destra sbarrata da Renzo «Figlio di Dio» De Vecchi, premiò con un azzeccato suggerimento la sovrapposizione di Carlo Maranghi, il quale calibrò un cross al centro che Eugen Herzog girò imparabilmente in rete (l’attaccante svizzero nei minuti finali del 1° tempo si sarebbe visto respingere dal portiere milanista Luigi «Gigi» Barbieri un suo tiro con il pallone probabilmente già oltre la linea di porta). Nella ripresa… si ribaltarono le opinioni sull’opportunità di disputare l’incontro: i genoani ritenevano che esso fosse regolarissimo, mentre i milanisti chiamarono inutilmente in causa l’impraticabilità del terreno e l’oscurità del cielo. Dopo quella vittoria il Genoa, che aveva raccolto 13 punti sui 14 disponibili negli iniziali sette turni, fu capace di ottenerne fino alla fine del Girone, che terminò al terzo posto, solamente 11 in altrettante partite, mentre il Milan, sconfitto in quell’unica occasione, conquistò, al di là del già ricordato pareggio interno con la Pro Vercelli, tutti gli altri 18 punti disponibili. Avendo la formazione campione d’Italia in carica (vittoriosa il 26 novembre 1911 per 5-1 sul campo del Torino) totalizzato 21 punti nelle ultime 11 giornate, i rossoneri dovettero, proprio a causa di quell’insuccesso a Genova, riporre nel cassetto i loro sogni di conquista del quarto titolo nazionale, che sarebbe arrivato solamente dopo 39 anni e 33 edizioni del campionato!

A volte, per enfatizzare l’importanza di certe partite, si suole dire che “i punti valgono il doppio”. Per ciò che riguarda l’incontro del 1913, conclusivo del Girone Lombardo-Ligure [n. 7], con le due squadre già qualificate al Girone finale a sei dell’Italia Settentrionale (vinto poi dalla Pro Vercelli, che avrebbe successivamente sconfitto nella prima Finale tra squadre dell’Italia settentrionale e centro-meridionale la Lazio per 6-0 il 1° giugno 1913 sul Campo del Genoa), tale frase doveva essere presa alla lettera, in quanto i risultati degli scontri diretti tra le ammesse dei tre raggruppamenti eliminatori (gli altri due erano il Piemontese e il Veneto-Emiliano) erano validi per la classifica finale. Il Genoa si impose con due doppiette dei britannici John Wylie Grant (al 14’’ del 1° tempo – una delle reti più veloci della storia del Genoa – e al 22’ della ripresa) e William McPherson (al 3’ e al 22’ del 1° tempo), alle quali il Milan seppe opporre solamente la rete di Van Hege al 38’ del 1° tempo. Il giornale genovese Caffaro nell’articolo dedicato alla partita scrisse: “Ad incontro finito il pubblico portò in trionfo i giuocatori, decretando un vero trionfo alla squadra vincente, la quale, per l’occasione, indossava un elegantissima maglia di nuova foggia, sulla quale spiccava lo stemma cittadino.”. Per la cronaca, il portiere elvetico Maxim Surdez non era da meno, con la sua maglia scarlatta, dei compagni che indossavano la casacca bianca con fascia orizzontale blu-rossa e quelle divise sono state rieditate per celebrare i 115 anni del Genoa.   Per superare lo choc della sconfitta per 1-6 patita la domenica prima sul terreno del Torino, il Genoa doveva ottenere nell’incontro con il Milan [n. 8] oltre ai due punti che lo tenessero in quota nel Girone Finale dell’Italia Settentrionale (la classifica al termine delle tre partite del girone d’andata recitava: Torino punti 4; Internazionale e Genoa punti 3; Milan punti 2) anche un successo convincente in vista della volata finale. La partita si mise subito in discesa per la squadra dalla bianca casacca fasciata di blu-rosso grazie a una rete al 5’ di Percy Grahame «Polidor» Walsingham, abile a sfruttare un lungo rilancio di Claudio Casanova II e un mancato intervento di Marco Sala. Diciotto minuti dopo Felice «Lice» Berardo II segnava da opportunista in una mischia sotto la porta milanista e al 16’ della ripresa De Vecchi siglava il goal dell’ex su rigore concesso dall’arbitro Vittorio Pedroni II di Milano (socio dell’Associazione Milanese del Calcio ed ex giocatore del Milan dal 1907 al 1910) per fallo di mano sulla linea di Francesco Soldera I su tiro di Emilio Aristodemo «Maja» Santamaria I, fissando il risultato sul 3-0. Le due squadre finirono l’incontro in dieci per i ritiri per infortuni di Cesare Lovati e Walsingham nella seconda metà della ripresa. In serata giunse la notizia che l’Internazionale aveva sconfitto 2-1 il Torino grazie a un calcio di rigore concesso dal socio della Juventus Ennio Portigliatti di Torino e trasformato da Aldo Cevenini I. Neroazzurri e rossoblù, in testa alla classifica, si sarebbero incontrati a Milano la settimana dopo, con successo degli uomini di William Thomas Garbutt per 3-1. Il contemporaneo pareggio per 1-1 nell’incontro Torino-Milan fece portare a due le lunghezze di vantaggio del Genoa su Internazionale e Torino a una giornata dal termine.

Gli ultimi due incontri – Genoa-Torino e Milan-Internazionale – non vennero mai giocati (il giorno successivo a quel 23 maggio 1915 l’Italia dichiarò guerra all’Austria-Ungheria) e il titolo di campione d’Italia sarebbe stato riconosciuto al Genoa sei anni dopo.   Domenica 29 maggio 1921 alcuni facinorosi aggredirono all’uscita dello stadio l’arbitro di Genoa-Novara 1-1 (incontro poi annullato dalla F.I.G.C. e, stante il fatto che era ininfluente ai fini della conquista, già ottenuta dal Bologna, del 1° posto nel Girone A di Semifinale dell’Italia Settentrionale, non rigiocato per motivi di ordine pubblico), Umberto Brambilla di Milano, che vide depauperato il proprio patrimonio dentario di un’unità. Il Genoa subì la prima squalifica della sua storia per intemperanze del suo pubblico e dovette concludere quel suo deludente diciannovesimo campionato, affrontando il Milan a Novi Ligure [n. 11]. Nella cittadina piemontese, la cui squadra, sotto la presidenza del munifico Silvio «Mario» Ferretti, «il Sire di Novi», avrebbe conquistato, schierando tanti validi giocatori e due assi del calibro di Santamaria I (già in organico nel vittorioso Campionato di Seconda Categoria 1920/1921 e sempre in campo nelle quattro partite della Nazionale Italiana di quella stagione) e Luigi «Zizì» Cevenini III, il successivo campionato (quando il calcio italiano si spaccò per un anno in due federazioni) della F.I.G.C., l’arrivo dei rossoblù (seguiti da un centinaio di fedelissimi) e rossoneri venne vissuto come un’autentica festa, tanto che di fronte a spalti affollati, una banda militare suonò nell’intervallo Abat-jour e Cri-cri, due arie ballabili in voga in quel momento. Le squadre, molto rimaneggiate (sette riserve immesse nel Genoa e cinque nel Milan), giocarono la tipica gara di fine stagione ricca di reti e povera di contenuti tecnici. Nel 1° tempo il genoano Angelo «Balletta» Dellacasa I (al 24’ e al 43’) e nella ripresa, per la gioia della sua «claque» personalizzata dei compaesani tortonesi, il milanista Armando Bellolio (5’ e 39’) misero a segno una doppietta ciascuno, a cui si aggiunsero le segnature singole dei rossoblù Marino Scotti (al 10’ del 1° tempo) e Luigi Tabacco (al 31’ della ripresa) e del rossonero Ferdinando «Nando» Trabattoni (al 12’ del 1° tempo), il quale concluse la partita con 22 minuti d’anticipo, essendo stato espulso con l’avversario Giuseppe Ferrari II dall’arbitro Luigi Augusto Rangone di Alessandria.

Un vecchio detto recita che “il buon giorno si vede dal mattino”. Così fu in quella gara d’esordio dell’8 ottobre 1922 [n. 12] per il Genoa, che incastonò con il 4-1 casalingo al Milan la prima gemma nel suo straordinario Campionato 1922/1923, vinto con ventidue successi, sei pareggi, nessuna sconfitta, 75 reti fatte e 21 subite. Nel primo tempo fu il «figliol prodigo» Santamaria I a violare al 7’ e al 27 per due volte la porta di Giuseppe Norsa. Al 5’ della ripresa Antonio «Delfo» Bellini, quel giorno schierato all’attacco e poi uscito sul 4-0 per una contusione a una ventina di minuti dalla fine, si tolse la soddisfazione di «bagnare» con un gran tiro dal limite dell’area di rigore il suo esordio in Campionato con la maglia (nell’occasione completamente bianca) del Genoa. La rete più bella della giornata fu quella del centravanti Edoardo Catto, che concluse al 23’ con un tiro imparabile un’azione iniziata con un fraseggio tra Augusto Bergamino I e Santamaria I e da lui continuata con un’irresistibile serpentina tra tre avversari. La «rete della bandiera» fu realizzata per il Milan al 31’ su calcio di rigore da Pietro Bronzini, concesso dal signor Umberto Mombelli di Casale Monferrato per un discutibile fallo di mani dell’impacciato terzino destro (esordiente e mai più schierato) Mario Della Grisa su tiro di Giuseppe «Pinogia» Santagostino.    Con Casale (nel 1913/1914), Bologna (nel 1924/1925, giacché il famigerato spareggio della Finale della Lega del Nord del 7 giugno 1925 a Milano con la rete-fantasma felsinea di Giuseppe «Teresita» Muzzioli venne annullato), Internazionale (nel 1926/1927), Juventus (nel 1926/1927), Alessandria (nel 1927/1928), Torino (nel 1927/1928), Lecco (nel 1967/1968), Perugia (nel 1967/1968), Venezia (nel 1967/1968), Monza (nel 2005/2006) e Salernitana (nel 2005/2006) il Milan (nel 1927/1928) condivide un singolare record all’interno dell’ultracentenaria storia del Genoa: quello di aver affrontato i rossoblù in quattro partite di campionato all’interno della stessa stagione agonistica.

Il primo [n. 15] dei due incontri a Marassi, valido per la XVII giornata del Girone A della Divisione Nazionale, giocato su un terreno ai limiti della praticabilità, finì 1-1. Al 26’ del 1° tempo l’ala sinistra milanista Paride Pasqualetto effettuava un cross basso, per intercettare il quale Giovanni De Prà (che si era distinto nel primo quarto d’ora per due grandi parate su conclusioni di Santagostino e Pietro «Piero» Pastore) si tuffava, avendo la sgradita sorpresa di vedere il pallone fermarsi in una pozzanghera a tutto vantaggio dell’accorrente Giuseppe Torriani. Nella ripresa un pallone calciato su punizione da Luigi «Luigin» Burlando al 3’ era stato raccolto da Giovanni Chiecchi III, che l’aveva immediatamente girato all’indietro per Ercole Bodini I, il quale con una gran botta al volo aveva riequilibrato le sorti dell’incontro. La seconda partita [n. 16], valida per la IV giornata del Girone finale, fu l’unica ad essere portata a termine in quella domenica di Pasqua (per impraticabilità di campo vennero rinviate Alessandria-Casale XI Legione e Juventus-Torino e sospesa Internazionale-Bologna). Pure a Marassi il campo era in pessime condizioni. Il Genoa proveniva dalla sconfitta per 1-6 sul campo della Juventus, sul quale sullo 0-1 Bellini e Virgilio Felice «Lise» Levratto II avevano timbrato i pali della porta di Giampiero «Saetta» Combi su altrettanti calci di rigore. Se si considera che al 9’ del 1° tempo (sullo 0-1) e al 15’ della ripresa (sul 2-1) della partita con il Milan Levratto II aveva calciato rispettivamente fuori e alto i tiri dagli 11 metri, che nella partita interna del 24 giugno 1928 con il Casale XI Legione (terminata 1-1) De Vecchi, sullo 0-0, aveva portato a cinque la serie degli errori consecutivi dal dischetto e che a fine campionato il Genoa era finito alle spalle del Torino campione d’Italia con due punti di distacco, sicuramente c’è spazio per i tifosi genoani per le recriminazioni…  tuttora valide per il mancato raggiungimento del decimo scudetto. Al di là dei rigori sbagliati, l’esito dell’incontro fu determinato dal fondo del terreno.

Al 4’ del 1° tempo Burlando, pressato dagli avversari, alleggerì il pallone a De Prà, ma della sfera, impantanatasi, si impadronì Torriani, che, dopo aver superato il portiere genoano, tirò in porta, dove sulla linea salvò Umberto Lombardo, ma Rodolfo Ostromann II ribadì in rete. Al 36’ una tambureggiante azione condotta da Bodini I, Catto e Chiecchi III venne finalizzata da quest’ultimo con un gran tiro nell’angolo sinistro della porta difesa da Luigi «Dario» Compiani. Al 43’ l’estremo difensore milanista capitolò nuovamente dopo non essere riuscito a trattenere il pallone colpito di testa da Chiecchi III, servito da una punizione di Ottavio Barbieri, che il medesimo autore della prima segnatura indirizzò in rete. Nella ripresa il Genoa, scoraggiato dai due rigori falliti da Levratto II e stanco per le energie fino ad allora profuse, arretrò e dovette subire il pareggio rossonero quando Pastore, ricevuto il pallone da una punizione battuta da metà campo da Alessandro Schienoni, sorprese con un tiro dal limite dell’area di rigore De Prà, gettatosi in leggero ritardo.

Dopo il pareggio per 2-2 dopo i tempi supplementari nell’incontro di Milano di giovedì 30 maggio 1929, si dovette rigiocare l’incontro a Genova mercoledì 12 giugno 1929 [n. 17] per trovare una delle due partecipanti italiane alla Mitropa Cup, che si sarebbe disputata durante l’estate. “Chi esce ingigantito dalla lotta è il team genovese, il quale ha disputato una partita che non è esagerato definire eroica” scrisse La Gazzetta dello Sport nel suo commento alla partita, iniziata agli ordini di Achille Gama Malcher II di Milano alle ore 18 e terminata 1-1 tra le tenebre calate nel 2° tempo supplementare. Campeggiarono in quell’incontro i due «ragazzi del ’99» Barbieri e Burlando, che seppero tenere in piedi una compagine genovana, che aveva perso dal 25’ del 1° tempo Catto, infortunatosi, rientrato al 44’ della prima frazione giusto in tempo per sfiorare la rete del pareggio e ritiratosi al 1’ della ripresa, e dal 6’ del 2° tempo Amilcare Gilardoni, espulso. Pur ridotto in nove, al 7’ della ripresa il Genova 1893 aveva riequilibrato le sorti dell’incontro (cross di Quinto Rosso dalla sinistra e deviazione vincente di Giovanni «Gino» Puerari III), dopo che, alla prima vera azione d’attacco, il centrattacco milanista Pastore, sugli sviluppi di un calcio d’angolo, aveva ripreso il pallone respinto da Gilardoni e lo aveva insaccato con una bordata dal basso in alto alle spalle di De Prà al 32’ del 1° tempo. Le due società si accordarono poi per affidare alla sorte, che sarebbe stata benigna quattro giorni dopo con i rossoblù, e non a un terzo incontro la designazione della squadra rappresentante l’Italia.   Dopo una sequenza negativa di dodici incontri esterni di Campionato con il Genoa (tre pareggi e nove sconfitte, 13 reti fatte e 29 subite), il Milan tornò, dopo quasi ventidue anni, al successo [n. 20]. Un Milan spigliato passò a Marassi, andando in vantaggio al 12’ della ripresa a coronamento di un’azione iniziata dal fiumano Ernesto Attila «Attilio» Kossovel, proseguita da Mario «Motorino» Magnozzi II e da Pastore e finalizzata da Pietro Sante Arcari III con un diagonale nell’angolo alto alla sinistra di Manlio Bacigalupo III, e raddoppiando con una bella azione sulla sinistra della mezzala destra Giovanni Moretti, conclusa con un gran tiro a mezz’altezza, applaudito dallo stesso pubblico rossoblù. Altrettanto bella, ancorché inutile, fu la rete del Genova 1893 a tre minuti dal termine di Levratto II con un tiro a giro parabolico scagliato da una trentina di metri dalla porta di Compiani.   Dopo che i successivi tre incontri a Marassi si erano conclusi con altrettanti pareggi, il Milan colse una nuova vittoria a Genova [n. 24]. I rossoneri, che avevano raccolto sei punti in altrettanti incontri di campionato (l’ultimo dei quali vinto 2-0 in casa con il Novara), avevano sostituito Adolfo «Balon» Baloncieri con Garbutt, trionfatore, prima di allontanarsi dalla Spagna allo scoppio della Guerra Civile, nel campionato iberico con l’Athletic Bilbao. Il tecnico inglese, che era stato contattato anche dalla Sampierdarenese, tornava in Italia dopo un anno di lontananza, avendo nel suo curriculum undici campionati (di cui tre vinti) con il Genoa, due con la Roma (con una conquista della Coppa C.O.N.I.) e sei con il Napoli. Sul campo che gli aveva regalato le maggiori soddisfazioni della sua carriera di allenatore Garbutt confermò una delle regole non scritte del calcio che vuole vincente la squadra che ha appena cambiato nel corso di un campionato la propria guida tecnica. In una bella partita, in cui ebbe il ruolo di protagonista il portiere milanista Mario Zorzan, i rossoneri si imposero in virtù di una rete al 42’ del 1° tempo dell’ala sinistra Remo Cossio, che, liberatosi di Giuseppe Bigogno e Paolo Agosteo, aveva battuto Lino Fregosi con un gran tiro finito in fondo alla rete dopo aver colpito la faccia interna della traversa.   Sconfitto nell’incontro di Campionato, l’ungherese Hermann Felsner, tecnico del Genova 1893 e tante volte avversario sulla panchina del Bologna negli epici scontri degli anni Venti con il Genoa di Garbutt, si prese la rivincita sul collega inglese nella ripetizione della Semifinale di Coppa Italia [n. 25] (dopo che tre giorni prima l’incontro a “San Siro”, terminato 1-1 dopo i tempi supplementari, non aveva designato l’avversaria della Roma per la Finale di Firenze del 6 giugno 1937).

Fu una doppietta dell’italo-belga Alfredo Marchionneschi (al 16’ del 1° tempo, a conclusione di un’azione iniziata da Arcari III e Luigi Pantani, e al 13’ del 2° tempo supplementare, a risolvere una mischia creatasi sotto la porta di Zorzan a seguito di una punizione di Pietro Pastorino, in posizione regolare secondo l’arbitro Emiliano Saracini di Ancona e di fuorigioco per i rossoneri) a rompere l’equilibrio provvisoriamente ristabilito da Aldo Boffi (al 30’ del 1° tempo, insaccando in ribattuta un calcio di punizione dal limite respinto dalla barriera). Nonostante le grandi energie profuse nell’incontro, i rossoblù seppero avere la meglio sulla Roma, conquistando quello che è a tutt’oggi l’unica Coppa Italia nel «palmares» del Genoa.   Nonostante il successo in Coppa Italia, il presidente Juan Claudio Culiolo non rinnovò il contratto a Felsner, che si accasò come direttore tecnico – con Joszef Banas, magiaro pure lui, nelle vesti di allenatore – al Milan, preferendo richiamare Garbutt, che tornava sulla panchina rossoblù dopo dieci anni. Di fronte a ventiduemila spettatori il Milan si impose nell’ultima partita di campionato in programma nell’anno solare 1937, sempre per 1-0 [n. 26]. La rete della vittoria rossonera fu segnata al 25’ del 1° tempo dall’ala destra Egidio Capra II, che prese il tempo ad Emanuele Figliola e trafisse Bacigalupo III, finalizzando una bella triangolazione Boffi-Moretti-Boffi.   A digiuno di vittorie nelle partite interne di campionato da più di otto anni (con tre pareggi, tre sconfitte, 8 reti segnate e 11 subite), il Genova 1893 si impose per 2-0 [n. 27] in quello che con una scherzosa perifrasi si potrebbe definire “l’incontro tra le squadre di matrice britannica con i nomi modificati in ossequio all’autarchia linguistica del Fascismo”. Infatti da cinque giorni il Milan Associazione Sportiva aveva cambiato la propria ragione sociale in Associazione Calcio Milano ed esordiva a Marassi contro la squadra che si chiamava dal sesto anniversario della Marcia su Roma (l’incontro vinto 11-0 con l’Hellas domenica 28 ottobre 1928) Genova 1893. Garbutt si guardò bene dallo snobbare gli avversari, penultimi a pari merito con il Modena, ma reduci dal successo per 3-1 nel derby con i campioni d’Italia dell’Ambrosiana-Inter, e portò la squadra in ritiro per tre giorni a Portofino-mare. Il Genova 1893, che giocava, come usava all’epoca, per dovere di ospitalità, con la maglia di riserva e portava il lutto al braccio per la morte avvenuta due giorni prima del sessantatreenne vicepresidente Vittorio Lo Faro (al 2’ del 1° tempo l’arbitro Giacomo Bertolio di Torino interruppe il gioco e fece osservare un minuto di raccoglimento in suo onore), passò in vantaggio al 44’ del 1° tempo, quando il terzino sinistro Michele Borelli concluse una sua ripartenza con un gran tiro che venne deviato nella sua traiettoria originale, in direzione della quale si era gettato Zorzan, dal centravanti Alfredo Lazzaretti. Al 14’ della ripresa un’inaspettata rovesciata di Luigi Scarabello su cross di Arrigo Morselli aveva sorpreso Zorzan, che aveva raccolto oltre la linea di porta il pallone sfuggitogli dalle mani.

Dopo due anni di interruzione, domenica 14 ottobre 1945 ricominciò il campionato italiano di calcio, l’unico della massima serie dal 1929 in poi disputato fino ad adesso, per evidenti problemi logistici, non con la formula del girone unico ma con due eliminatori (Alta Italia e Centro-Sud) e uno finale (tra le quattro migliori di ciascuno dei due). Il calendario aveva stabilito che il Genoa dovesse affrontare alla prima giornata il Milan (e in quel casuale quanto significativo accostamento tra le due antichissime società che si erano riappropriate dei loro nomi originari erano impliciti i segnali di rinnovamento di una nazione da poco liberatasi da un regime antidemocratico e xenofobo). Prima dell’inizio dell’incontro [n. 32], il presidente del Genoa Antonio Lorenzo rivolse con l’altoparlante ai circa diecimila tifosi accorsi allo stadio, ricordando tutte le peripezie degli ultimi anni, un toccante appello ad essere sempre vicini alla squadra e alla società. L’esito dell’incontro fu deciso in un convulso finale. Al 27’ della ripresa un tiro-cross su punizione battuta da Mario Genta a una trentina di metri dalla porta di Giovanni Rossetti finì in fondo alla rete senza che il piede di Bruno Ispiro sr. o le mani dell’estremo difensore milanista ne mutassero o interrompessero la corsa (i due si limitarono ad osservarne la traiettoria, tentando e cercando di intuire la direzione della mai arrivata deviazione del centravanti rossoblù). Undici minuti dopo Bertolio concesse un corner sulla sinistra della porta genoana, ma poi, su richiesta rossonera, fece spostare il pallone sull’altra lunetta. Sul cross di Luigi Rosellini si sviluppò una mischia nell’area di rigore genoana con atterramento di Giuseppe Antonini I da parte di Francesco Servetto, che venne espulso. Sei tifosi genoani – il primo dei quali bloccato da Vittorio «Tojo» Sardelli e Guglielmo «Memo» Trevisan I – invasero il campo, facendo sospendere la partita per alcuni minuti. L’esordiente Omero Tognon si incaricò di trasformare la massima punizione, ma, probabilmente, arrivò sul dischetto avendo perso la concentrazione e non seppe fare di meglio che indirizzare un debole tiro che venne parato da Orlando Sain. A fine partita l’allenatore Baloncieri e il vicepresidente Mario Mauprivez presentarono riserva scritta (che sarebbe stata poi rigettata) per l’invasione di campo e l’asserita presenza sul terreno di gioco dell’espulso Servetto al momento dell’esecuzione del calcio di rigore.

In una situazione metereologica del tutto simile a quella della partita vinta poco meno di quarant’anni prima dal Genoa, ma in una realtà tecnica completamente diversa (il Milan riuscì in quel campionato ad ottenere a 44 anni dall’ultimo successo e dopo 37 falliti tentativi il titolo di Campione d’Italia; il Genoa conobbe la sua seconda retrocessione in Serie B), il Genoa e il Milan si affrontarono a Marassi [n. 37]. Nel 2° tempo, come avevano fatto i milanisti nel 1911, anche il capitano del Genoa Fosco «Palla di gomma» Becattini chiese invano all’arbitro – Giovanni Galeati di Bologna – di sospendere l’incontro per impraticabilità di campo. Una doppietta di Gunnar «Pompiere» Nordahl III (rete di rapina al 40’ del 1° tempo, dopo una mischia susseguente a una traversa di Aurelio «Busecca» Santagostino II, e gran botta al volo al 41’ della ripresa su suggerimento di Renzo Burini) e una rete di Carlo «Carletto» Annovazzi (abile ad intrufolarsi al 26’ del 2° tempo in un retropassaggio, bloccato dal fango, di Pier Ugo Melandri al portiere Piero Bonetti) confezionarono il 3-0 per il Milan.   La sconfitta interna più pesante e la vittoria esterna più larga nei 77 massimi campionati a girone unico finora disputati e portati a termine si materializzò in Genoa-Milan 0-8 del 5 giugno 1955 [n. 39]. I rossoblù, ormai salvi dopo la vittoria interna per 1-0 sull’Atalanta di tre settimane prima (nell’ultima giornata disputata prima della sosta per gli impegni della Nazionale Italiana), avevano affidato per le ultime tre giornate la panchina a Ermelindo «Lino» Bonilauri, congedando il magiaro György Sarosi I, che si era già accordato per la stagione successiva con la Roma. Il Milan, che aveva tre punti di vantaggio sulla sorprendente Udinese (poi retrocessa a tavolino per la – tra l’altro – di fatto ininfluente vittoria esterna per 3-2 sulla Pro Patria del 31 maggio 1953 per una salvezza che sarebbe stata, alla luce della sconfitta del Como per 0-2 a Firenze, comunque ottenuta), dopo aver subito due palle-goal di Giorgio «Roccia» Dal Monte II ed Attilio Frizzi nei primi minuti dell’incontro, diede vita a un’autentica accademia calcistica, con tre reti di Nordahl III (al 10’ del 1° tempo, al 13’ e al 23’ della ripresa), due a testa Juan Alberto «Pepe» Schiaffino (al 17’ e al 19’ del 1° tempo) e di Amleto Frignani (al 2’ e al 19’ della ripresa) e una di Nils «Liddas» Liedholm (al 38’ del 2° tempo), che raccolse gli applausi finali dei tifosi genoani, i quali, invece, ricoprirono di fischi i propri giocatori, autori di una prestazione indecorosa, ribadita dal fatto che il migliore in campo di loro fu il portiere Angelo «Nani» Franzosi, autore di almeno cinque grandi parate, che terminò la gara in lacrime. Per descrivere l’atmosfera sugli spalti del “Ferraris” in quel giorno di disfatta dei colori rossoblù si possono citare due episodi: al 24’ del 2° tempo Nordahl III, che, imbeccato da un lancio di Schiaffino e, partendo in fuorigioco, dopo aver eluso la guardia di Rino Carlini, aveva un minuto prima segnato con una spettacolosa cannonata la settima rete, tirò un pallone nella Gradinata Nord, i cui spettatori non vollero, in segno di protesta, restituirlo, tanto che si dovette andarne a prendere un altro negli spogliatoi; quattordici minuti dopo Franzosi sbagliò l’intervento su tiro di Liedholm, subendo l’ottava rete, e con quell’errore ebbe l’unico passaggio a vuoto nella sua giornata, ma venne subito moralmente risarcito dall’applauso dei tifosi.

Animati da fieri propositi di riscatto, i rossoblù giocarono una gara meravigliosa cinque mesi dopo [n. 40], mettendo sotto i campioni d’Italia. Al 3’ del 1° tempo Riccardo «Carappa» Carapellese, dopo una fuga sulla sinistra, mise un invitante pallone al centro che trovò pronto Paolo Pestrin alla deviazione vincente. Sei minuti dopo un incidente a Silvano Pravisano, definitivamente uscito al 31’, costrinse Renzo Magli sr. a rivoluzionare lo schieramento genoano con gli spostamenti di Pravisano da mediano sinistro ad ala sinistra, di Benedetto De Angelis da terzino sinistro a mediano sinistro, di Frizzi da ala destra a terzino sinistro e di Carapellese da ala sinistra ad ala destra. Il Genoa fu messo sotto assedio nei primi venti minuti della ripresa e salvato da Frizzi sulla linea di porta all’11 su tiro di Liedholm a Renato Gandolfi battuto. Poi al 21’ in una vertiginosa azione di contropiede De Angelis venne steso in area di rigore da Cesare Maldini sr. e Frizzi portò il Genoa sul 2-0. Al 34’ da una punizione di Nordahl III, respinta dalla barriera, scaturirono in rapida successione due tiri di Schiaffino e dell’ala sinistra Valentino Valli, che trovò il pertugio giusto, riaprendo la partita. Al 37’ Carapellese, dopo essere partito in contropiede ed aver dribblato Maldini sr. ed Eros Beraldo, trafisse tra il tripudio dei tifosi rossoblù Lorenzo Buffon, fissando il risultato sul 3-1.

Trentamila spettatori andarono a vedere il Genoa opposto ai campioni d’Europa in carica del Milan [n. 46]. Al 37’ del 1° tempo José João «Mazzola» Altafini sfuggì sulla destra alla guardia di Natalino Fossati ed operò un traversone al centro per Bruno Mora sr., che, liberatosi della marcatura di Giampiero Bassi, batté con un dosato colpo di testa Mario Da Pozzo. A un quarto d’ora dalla fine dell’incontro, Franco «la Tigre di Ronco» Rivara, riprendendo una respinta di Bruno Bacchetta, fece partire un gran tiro da una trentina di metri, che picchiò prima sotto la traversa poi per terra (prima di aver varcato la linea di porta secondo Concetto Lo Bello sr., oltre secondo il guardalinee che fece modificare al celebre arbitro siracusano la prima decisione) e infine venne abbrancato dal portiere milanista Luigi Balzarini.   Diecimila persone in più andarono a vedere il ben più drammatico incontro del campionato successivo [n. 47]. I calendari, all’epoca compilati a mano, ammettevano che una squadra potesse disputare i due ultimi turni in casa o in trasferta: ad esempio, il Milan doveva giocare gli ultimi due turni in trasferta contro il Genoa e il Cagliari, mentre il Genoa avrebbe ricevuto in casa il Milan e la Fiorentina. Conseguentemente l’Internazionale aveva le due ultime partite in casa contro Catania e Torino, mentre la Sampdoria doveva giocare in trasferta contro Foggia ed Atalanta. Le due formazioni milanesi e le due genovesi erano in quel campionato non solo divise dalla tradizionale rivalità, ma anche in lotta per il raggiungimento della vittoria finale le prime e della salvezza le seconde. Il Milan, «campione d’inverno» con 30 punti in classifica e cinque (diventati due turni dopo addirittura sette) di vantaggio sull’Internazionale seconda, si era fatta recuperare il vantaggio e si trovava un punto sotto la formazione allenata dal «mago» Helenio Herrera; il Genoa aveva vinto – fatto mai fino a quel momento accaduto e mai da allora ad adesso ripetutosi – entrambi i derbies, ma negli altri 30 incontri aveva totalizzato sei punti (21 contro 27) in meno della Sampdoria. Il fatto che l’Internazionale giocasse il giorno dopo (aveva disputato nel fango di “San Siro” il mercoledì precedente la vittoriosa finale di Coppa dei Campioni contro il Benfica di Lisbona) con il Catania (incontro agevolmente vinto 5-1) e la Sampdoria nella lontana Foggia contribuì a far confluire sul “Ferraris” molti «gufi», quelli neroazzuri schierati dalla parte del Genoa e quelli blucerchiati del Milan. Il Genoa e il Milan entrarono in campo con la consapevolezza che solamente una loro vittoria avrebbe potuto favorire l’eventualità di uno spareggio o quella, ancor più remota, di un sorpasso. I rossoblù giocarono una gara di grande carattere e finché la forza atletica permise loro di compensare l’inferiorità tecnica cercarono di segnare per poi difendersi nel finale, in cui Bruno De Marchi di Pordenone annullò per fuorigioco tra le proteste milaniste una rete di Giovanni «Basetta» Lodetti, servito da Nello Santin, e all’ultimo minuto un colpo di testa di Santin, su passaggio di Mora sr., venne parato da Leonardo «Leo» Grosso, che giocava al posto dell’infortunato e comunque non molto sicuro nelle ultime esibizioni, Da Pozzo. La domenica successiva il Milan uscì sconfitto per 1-2 all’“Amsicora” di Cagliari, mentre l’Internazionale raggiunse con Alessandro «Sandro» Mazzola I jr. il 2-2 con il Torino all’ultimo minuto, potendo festeggiare con ben tre punti di vantaggio l’insperata conquista di un titolo sfuggito il 7 giugno dell’anno prima nello Spareggio dell’“Olimpico” di Roma contro il Bologna, quando i felsinei si erano imposti per 2-0. Il Genoa, dal canto suo, colse un’inutile vittoria per 4-1 contro la Fiorentina, visto che la Sampdoria raggranellò a Bergamo il secondo punto nel doppio turno finale in trasferta, dopo l’1-1 di Foggia, contro l’ormai salva Atalanta.   Tornato dopo cinque campionati di Serie B, uno di Serie C ed altri due nella cadetteria, in Serie A, il Genoa si trovò ad affrontare nell’anticipo della XXVIII e terz’ultima giornata il Milan [n. 48], che quattro giorni dopo sarebbe stato sconfitto a Rotterdam per 0-2 dai tedeschi orientali del Magdeburg, al “Porta Elisa” di Lucca, avendo il campo squalificato per le intemperanze dei tifosi rossoblù al termine dell’incontro perso 0-2 il 21 aprile 1974 contro i granata, con due rigori nel quarto d’ora finale concessi da Paolo Casarin di Milano e trasformati da Paolino «Puliciclone» Pulici. Di fronte a circa quindicimila tifosi, quasi tutti milanisti, il Genoa uscì sconfitto per 0-1 da una rete di Luciano Chiarugi al 43’ del 1° tempo, la cui posizione irregolare sulla prima conclusione di Romeo Benetti II, ribattuta da Roberto «faccia d’angelo» Rosato I, era stata segnalata dal guardalinee ma non rilevata dall’arbitro Riccardo Lattanzi di Roma (il pallone era stato poi ripreso da Albertino Bigon e deviato da Sergio Rossetti verso Chiarugi, tornato in posizione regolare).

Al termine dell’incontro, dopo un solo anno di permanenza in Serie A (fatto mai prima accaduto nelle precedenti tre risalite nella massima categoria e mai più nelle successive quattro), il Genoa retrocedeva matematicamente in Serie B (però, tenendo conto degli illeciti sportivi commessi all’ultima giornata da Hellas Verona e Foggia, se gli uomini di Arturo «Sandokan» Silvestri avessero vinto gli ultimi due incontri, in trasferta a Verona e sul campo neutro casalingo di Massa contro il Napoli, che poi vennero entrambi persi, si sarebbero salvati al posto della Sampdoria, che era partita con tre punti di penalizzazione per un premio a vincere dato all’Atalanta nel precedente campionato).   Ritornato dopo due stagioni in Serie B nella massima categoria il Genoa si trovò nella singolare situazione di ricevere alla XXIV delle trenta giornate un Milan distanziato di due punti (20 contro 22) e coinvolto in piena lotta-salvezza (alla fine del Girone d’andata era stato richiamato, con funzioni di direttore tecnico, Nereo «Paron» Rocco al posto di Giuseppe «Pippo» Marchioro). In quella domenica di Pasqua il Genoa tornò al successo sul proprio campo contro il Milan [n. 49] dopo ventidue anni (negli otto incontri successivi a quello del 1955 i rossoneri avevano vinto cinque volte e pareggiato tre, segnando 8 reti e subendone 2) grazie a un colpo di testa a spiovere, su calcio d’angolo battuto da Gregorio «Greg» Basilico, dopo soli 10 minuti di gioco di Giuseppe «Oscar» Damiani sr., che aveva scavalcato Enrico «Ricky» Albertosi, autore nel resto dell’incontro di grandi parate.   Dopo aver conquistato la Stella nel 1979, il Milan, giunto terzo nel successivo campionato, conobbe per il coinvolgimento del presidente Emilio Colombo (definitivamente inibito) e dei giocatori Albertosi, Giorgio Morini e Stefano Chiodi (squalificati rispettivamente per quattro anni, un anno e sei mesi) nello scandalo del calcio-scommesse l’onta della retrocessione in Serie B (i rossoneri avevano fino ad allora sempre giocato – per 75 campionati – nella massima serie).

Alla III giornata del girone di ritorno gli uomini di Massimo Giacomini si presentarono a Genova [n. 51] in testa alla classifica con 31 punti e tre lunghezze di vantaggio sulla Lazio seconda e nove sul Genoa quinto a pari merito con il Pisa. Trascinato da un grande Carlo Odorizzi, il Genoa giocò una partita d’attacco che non vinse grazie alla solidità della difesa rossonera (Ottorino Piotti tra i pali, Franco Baresi II libero, Mauro «Tasso»Tassotti ed Aldo Maldera III terzini e Fulvio Collovati stopper), lasciando al Milan solamente recriminazioni per due interventi in area di rigore di Claudio «Ruspa» Testoni su Roberto «Dustin» Antonelli (sanzionato con il cartellino giallo per simulazione) e di Tiziano «il Principe» Manfrin su Baresi II, non giudicati fallosi dal signor Mario Facchin di Udine.   Entrambe tornate in Serie A alla fine di quel campionato, le due squadre disputarono l’incontro a Genova di fronte a quarantacinquemila spettatori alla quint’ultima giornata di campionato [n. 52]. Se gli «addetti ai lavori» potevano prevedere in sede di pronostico precampionato che il Grifone a quel punto del torneo fosse impegnato nella lotta per la salvezza, era impensabile che in essa fosse coinvolto il Diavolo, una squadra che nella sua formazione-base schierava sei undicesimi della squadra campione d’Italia tre anni prima. Penultimo, dopo aver raccolto nelle prime dieci giornate del girone di ritorno la miseria di quattro punti (di cui uno negli ultimi cinque turni), e distanziato di quattro lunghezze dal Genoa, che occupava con 20 punti il tredicesimo posto (l’ultimo che valeva la salvezza), il Milan si presentò al “Ferraris” con l’unica prospettiva di vincere lo scontro diretto per dimezzare lo svantaggio dai rossoblù e porsi nei loro confronti in posizione favorevole nella classifica avulsa degli scontri diretti (all’andata la partita era finita a reti bianche), che dirimeva a fine campionato le situazioni di parità in quella generale, stabilendo chi sarebbe rimasto nella categoria e chi l’avrebbe dovuta abbandonare. Le speranze dei milanisti sembrarono crollare quando, al 31’ del 1° tempo, Massimo Briaschi I mise con un bel colpo di testa alle spalle di Piotti un pallone crossatogli dalla bandierina dal belga Renè Vandereycken. Dopo aver subito la superiorità territoriale del Genoa, il Milan ebbe un’orgogliosa reazione nel 2° tempo, che, però, per tutta la prima mezz’ora non diede frutti. A quel punto l’allenatore Italo Galbiati decise di inserire il veterano Maldera III al posto del giovane Alberigo «Bubu» Evani. Il giocatore appena entrato si involò sulla fascia sinistra, dove venne raggiunto da un calibrato lancio di Giuseppe Incocciati (che, dopo l’intervallo, aveva preso il posto di Maurizio Venturi) e, a pochi passi dalla linea di fondo, dosò un tanto beffardo quanto calibrato pallonetto, che scavalcò Silvano Martina. Cinque minuti dopo, a conferma di una regola non scritta del calcio che vuole che gli attaccanti combinino dei disastri quando operano da difensori, Briaschi I, che non si era accorto di trovarsi all’interno dell’area di rigore, interrompeva con un fallo di mano una triangolazione, comunque pericolosa, tra Antonelli e Francesco Romano. Gino Menicucci di Firenze non poteva far altro che concedere la massima punizione, che veniva trasformata, per il definitivo 2-1 a favore del Milan, con un gran tiro di destro in diagonale da Baresi II. Il duello tra Genoa e Milan proseguì a distanza nelle successive quattro domeniche.

All’ultima giornata, i rossoneri, sotto di due reti a metà del 2° tempo, si resero autori, grazie alle reti dello scozzese Joe «lo Squalo» Jordan al 22’, di Romano al 27’ e di Antonelli al 36’, di un’incredibile rimonta sul campo di Cesena, che permise loro di agganciare a 24 punti in classifica il Genoa, a quel punto soccombente 1-2 al “San Paolo” di Napoli, e di superarlo in virtù della classifica avulsa degli scontri diretti. Mentre sul prato di “La Fiorita” i tifosi milanisti festeggiavano, al fischio di chiusura, la salvezza, giunse via radio la notizia che Mario «Marietto» Faccenda aveva pareggiato per il Genoa a Napoli (all’epoca non vigeva la regola della contemporaneità delle partite negli ultimi turni e il Genoa ci aveva «marciato», facendo dire a Fabrizio Gorin II, quando le squadre erano state richiamate in campo per la ripresa, che non ricordava più dove aveva messo le scarpe da gioco!), salvando la propria squadra e condannando il Milan al secondo campionato di Serie B della sua storia.   Contro un Milan neopromosso e tranquillamente assestato a centroclassifica, il Genoa, che voleva dare seguito alla vittoria per 1-0, ottenuta, con una rete di Briaschi I all’ultimo minuto, la domenica precedente contro l’Ascoli (gli uomini di Luigi «Gigi» Simoni provenivano da una serie negativa di dodici incontri senza vittorie, con sei pareggi e altrettante sconfitte) e alla rincorsa alla salvezza (che non sarebbe stata coronata da successo) ottenne quella che finora è la sua ultima vittoria contro i rossoneri [n. 53], concretizzando la sua superiorità territoriale con due reti nell’ultimo quarto d’ora. Su corner di Roberto Bergamaschi, il capitano Claudio Onofri segnò al 30’ di testa quella che è la sua unica rete in sei campionati di Serie A disputati (cinque con il Genoa e uno con il Torino) e nelle otto stagioni di militanza rossoblù. Dopo aver calciato alto sulla traversa un rigore quattro minuti prima, Briaschi I si riscattò dal dischetto al 42’ con un rasoterra alla sinistra di Piotti).

Il secondo incontro di Coppa Italia [n. 54], a distanza di 48 anni dal primo, venne giocato di fronte a trentacinquemila spettatori, la maggior parte dei quali ovviamente genoani, accorsi non solo per sostenere il Grifone, ma anche – e soprattutto – per mostrare all’esordiente presidente Aldo Spinelli le potenzialità del tifo rossoblù (espresse dalla scritta, appesa alla rete della Gradinata Nord, LA LEGGENDA CONTINUA). L’inizio di quella partita (la prima ufficiale in cui il Milan schierava dall’inizio, con il numero 3, il promettentissimo diciassettenne Paolo Maldini jr.) era stato molto incoraggiante per il Genoa grazie alla rete di Faccenda (uno che a dare dei dispiaceri al Milan evidentemente ci provava gusto!), imbeccato da Giuseppe Maria Butti e capace prima di anticipare in velocità Tassotti e poi di battere in diagonale Giuliano Terraneo al 6’ del 1° tempo, ma in sei minuti, tra il 23’ e il 29’ della ripresa, un tiro da una ventina di metri di Agostino «Diba» Di Bartolomei deviato da Francesco Mileti e un tocco di destro di Pietro Paolo «Massinissa» Virdis dopo una sua carica al portiere genoano Giovanni Cervone, che a pochi oltre all’arbitro Pierluigi Pairetto di Torino non era sembrata irregolare, il Milan (privo dal 33’ del 1° tempo del nuovo acquisto Paolo «Pablito» Rossi, che si era infortunato a una caviglia in uno scontro con Testoni e sarebbe tornato in campo solo dopo due mesi e mezzo) aveva rovesciato le sorti dell’incontro. All’ultimo minuto, però, lo stadio era tornato a far esplodere la propria gioia dopo che, sotto la Gradinata Nord, Luigi «Gigi» Marulla, appena acquistato dal Cosenza, aveva schiacciato in rete il pallone crossatogli dalla lunetta del corner da Mileti.   Tornata dopo circa mezzo secolo sfida di alta classifica (gli uomini di Arrigo Sacchi erano secondi con 23 punti a una lunghezza dai «cugini» interisti, quelli di Osvaldo «mago della Bovisa» Bagnoli sesti a pari merito con il Torino con 19 punti) nella massima serie, la partita tra Genoa e Milan [n. 56], giocata, nonostante la gelida giornata di tramontana, di fronte a spalti gremiti nel “Ferraris” ristrutturato per la Coppa del Mondo dell’anno prima, deluse gli intenditori e visse i suoi due momenti salienti su due svarioni difensivi nella ripresa: al 12’ Nicola Caricola II «si addormentò» sul pallone a pochi metri dalla porta, attendendo l’intervento – all’epoca consentito dal regolamento – del suo estremo difensore Simone Braglia e favorendo, invece, quello dell’opportunista Daniele Massaro; al 27’ Andrea Pazzagli rincorse senza motivo un pallone che si trovava alla sua destra in posizione defilata e che venne astutamente protetto con le spalle, sulle quali franò il portiere milanista, dal brasiliano Claudio Ibrahim Vaz Leal «Branco», che si guadagnò un calcio di rigore, trasformato con sicurezza dall’uruguayano Carlos Alberto «Pato» Aguilera Nova.   Christian Panucci II, alla sua ultima partita con il Genoa prima di passare proprio al Milan, favorì con due suoi traversoni le reti di Caricola II con un colpo di testa al 14’ del 1° tempo e di Andrea Fortunato (anch’egli giunto al capolinea della sua esperienza genoana prima del passaggio alla Juventus, militando nella quale, sarebbe deceduto il 25 aprile 1995, a ventitré anni e nove mesi, stroncato da leucemia acuta linfoidea) con un gran tiro da pochi metri a dieci minuti dal termine (in virtù del quale i rossoblù evitarono lo spareggio-salvezza), dopo che Marco Simone e il francese Jean-Pierre Papin  avevano ribaltato a favore dei riconfermati Campioni d’Italia tra il 14’ e il 19’ della ripresa le sorti dell’incontro che concludeva il Campionato 1992/1993.

Da segnalare che in quella giornata, verso le ore 13 si era verificata una furibonda zuffa che aveva coinvolto circa mille tifosi della Sampdoria (al seguito della loro squadra, poi sconfitta 1-3, sul campo del Brescia) e seicento del Milan nei pressi del cantiere ferroviario della stazione di Ponte Curone, nell’Alessandrino, e che, rilevando il ceco Tomas «Fisico» Skuhravy a sei minuti dalla fine, il genoano ed ex milanista Collovati giocò l’ultima partita della sua luminosa carriera.     Non c’è scudetto sottratto da manovre che nulla hanno a che vedere con lo sport, non c’è retrocessione in Serie B dopo uno spareggio perso ai calci di rigore, non c’è revoca della promozione in Serie A e conseguente retrocessione in Serie C1 con l’accusa di illecito sportivo (tutte situazioni che il Genoa ha vissuto nella sua lunghissima storia) che abbia titolo per essere giudicato l’evento più triste della storia di una società, quando quella perde un suo tifoso per la mano omicida di un sostenitore di un’altra squadra. Infatti, al di là del diverso valore della pur molto importante esistenza di un sodalizio sportivo che deve fornire emozioni e svago a chi lo segue e gli ineguagliabili significato e valore di ciascuna vita umana, le sconfitte della prima sono reversibili, la perdita della seconda no. Quindi si può affermare senza tema di essere smentiti che domenica 29 gennaio 1995, il giorno in cui l’esistenza del tifoso rossoblù Vincenzo «Claudio» Spagnolo si chiuse dopo che il suo torace venne perforato a poche decine di metri dal “Luigi Ferraris” dal coltello dell’ultrà milanista Simone Barbaglia, sia il giorno più tragico della storia del Genoa. Quel giorno circa cinquanta nazioni erano collegate per trasmettere in diretta o differita l’incontro. Al 38’ del 1° tempo l’inviato radiofonico della RAI Emanuele Dotto annunciò la morte di un tifoso del Genoa e Fabio Fazio sospese la sua trasmissione televisiva “Quelli che il calcio”, che aveva sempre cercato di mostrare l’aspetto divertente dello spettacolo calcistico domenicale, perché essa non aveva più senso di fronte alla morte violenta di un ragazzo di 25 anni. La giornata, dopo la sospensione dell’incontro, proseguì nel segno della violenza con scontri tra tifosi genoani che volevano farsi giustizia sommaria e forze dell’ordine che cercavano di difendere i tifosi milanisti «ingabbiati» (all’assedio parteciparono anche tifosi della Sampdoria, divisi da fiera rivalità da quelli milanisti e per un giorno uniti a quelli rossoblù da un comune sentimento di orgoglio municipale e di percezione del reale valore dello spettacolo sportivo feriti). Non si possono ovviamente giustificare reazioni violente da parte di seppur gravemente provocati tifosi, ma quell’assedio ebbe l’involontario merito di favorire l’identificazione del migliaio di tifosi milanisti (che lasciarono lo stadio a mezzanotte, affamati ed intirizziti dal freddo per affrontare un viaggio di ritorno su mezzi dell’AMT di Genova che sarebbe durato cinque ore) e la conseguente scoperta dell’assassino. Alla sospensione della partita (il 1° tempo si era concluso a reti bianche) si era giunti attraverso un atto che venne giustamente interpretato dal presidente del C.O.N.I. Mario Pescante come di grande civiltà e non, come a uno sguardo superficiale poteva sembrare, di teppismo: il fittissimo lancio di monetine dalla Gradinata Nord verso l’area di rigore che stava andando a difendere il portiere del Milan Sebastiano «Seba» Rossi per non far riprendere la partita. Pescante sconfessò anche la linea dello “show must go on” del presidente della F.I.G.C. Antonio Matarrese ed impose – fatto mai prima accaduto – la sospensione per una domenica del campionato. I dirigenti, i tecnici e i giocatori del Genoa e della Sampdoria parteciparono con migliaia di persone al funerale del povero «Spagna» nella chiesa genovese di San Teodoro.

Diciassette giorni dopo la tragica domenica l’incontro venne recuperato [n. 60]. Molti tifosi si rifiutarono di entrare (vennero anche distribuiti volantini per convincere chi andava allo stadio a non varcarne i cancelli), le due squadre deposero mazzi di fiori sotto la Gradinata Nord, venne osservato un minuto di raccoglimento e fu letto dall’altoparlante un messaggio di pace della famiglia Spagnolo. Skuhravy giocò una prova di grande intensità agonistica e di altrettanta qualità tecnica, che lo fece uscire stremato al 31’ della ripresa, quando venne rilevato da Daniele Delli Carri, dopo aver dato al Genoa il vantaggio, trasformando un calcio di rigore al 46’ del 1° tempo accordato da Gianni Beschin di Legnago (che aveva diretto anche la partita sospesa). A sette minuti dalla fine una calibrata punizione «a foglia morta» dell’ex rossoblù Panucci II fissò il risultato sull’1-1.

Per un caso del destino, dopo aver vissuto i peggiori anni della sua storia (undici campionati in Serie B e uno in Serie C1), il Genoa ritrovò il Milan alla prima partita del Campionato di Serie A 2006/2007 [n. 62]. Pochissimi tra i più anziani teen-agers rossoblù ricordavano di aver assistito a una partita della loro squadra del cuore nella massima serie e l’attesa era vivissima anche in chi aveva un’età più avanzata. Ciononostante il divieto di andare in trasferta ai tifosi milanisti e la paura che esso non bastasse – come, in realtà, invece accadde – a tenere lontane le frange più incontrollabili del tifo ultrà limitò l’afflusso di spettatori allo stadio. Prima dell’inizio dell’incontro i capitani del Genoa Francesco «Ciccio» Bega e del Milan Massimo «Ambro» Ambrosini donarono un mazzo di fiori alla sorella di «Spagna», Romina, che poi andò ad assistere all’incontro nella Gradinata Nord. Il Genoa pagò lo «scotto del noviziato», subendo tre reti nel 1° tempo: al 20’ l’indisturbato Ambrosini girò di testa un calcio di punizione di Andrea Pirlo, al 43’, sugli sviluppi di una percussione in area di rigore di Massimo Oddo jr. e di un tiro di Clarence Clyde Seedorf I ribattuto da Matteo Paro, e al 47’, su un calcio di rigore più che generosamente concesso dall’arbitro Massimiliano Saccani di Mantova per un contatto tra Fernando Moedim Rubens «Rubinho» e Alberto «Gila» Gilardino, Ricardo Izecson Dos Santos «Kakà» mise a segno una doppietta.

Stefano Massa
(responsabile scientifico per gli studi sulla storia del Genoa per la Fondazione Genoa 1893) 

Fonte Fondazione Genoa